Giuseppe Lanzi

Giuseppe Lanzi

Padre Beniamino Rossi: “voglio credere Sisifo felice”

Padre Beniamino Rossi

Difficile scrivere un estremo saluto per una persona che, al di là del suo essere padre in quanto sacerdote, mi è stato padre oltre ai rapporti parentali… sento però di doverlo fare, e quindi questo sarà un post diverso dal solito, sconfusionato ma scritto con il cuore.

Era Missionario nella congregazione dei Missionari di San Carlo fondata nel 1905 dal Vescovo di Piacenza per assistere gli emigrati italiani nelle americhe, ora semplicemente per i migranti indipendentemente dalla loro nazionalità. In congregazione Padre Beniamino ha assunto molti ed importanti incarichi: è stato responsabile di alcuni centri studi sulle migrazioni, superiore per Africa ed Europa; responsabile del Meeting Internazionale sulle Migrazioni ed è stato fondatore ed era tutt’ora presidente della Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo di cui era l’anima.

In queste due ultime avventure, ho avuto il privilegio di collaborare con lui molto da vicino, condividendone le gioie ma anche le tante preoccupazioni… Una delle frasi che lo caratterizzava era “Voglio, dobbiamo sognare i sogni degli altri!”… Lui i miei sogli li ha sognati meglio di quanto avrei potuto fare io.

Fu lui a volermi a Loreto, fu lui a rendere possibile – con il contributo di tanti – la fondazione dello Scalabrini Center of Cape Town, e fu sempre lui a mandarmi in giro per mezzo mondo a visitare missioni e progetti di cooperazione, da cui nacquero poi i miei CD fotografici “Frontiere – Borders – Fronteras” e “Limes – Limitis”.

Ma non voglio fare una commemorazione, voglio celebrare la sua vita!

Padre Beniamino, semplicemente Ben per gli amici, era profondamente prete, profondamente uomo, molto profondamente libero e senza paura di andare contro corrente!

Ho vissuto con lui dei momenti di gioia ma anche molti momenti difficili… per i momenti difficili, lui iper attivo, mi ha fatto scoprire l’utilità del restare immobili. La sua crassa risata ha accompagnato il mio matrimonio, il battesimo dei miei bambini, tanti bei momenti in tante sfide personali e professionali.

Anche il nome della società da me fondata non poteva che prendere spunto dal suo “Voglio credere Sisifo felice perché il senso della vita è ricominciare ogni giorno accettando la sfida quotidiana“.

E lui di sfide ne ha accettate tante; sue o che aveva fatto sue “sognando i sogni degli altri“.

Facile oggi ricordarlo parlando della sua creatura l’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo (ASCS); molto meno facile fu per lui e per chi gli era vicino non tanto il metterla in piedi quanto il mantenerla in vita. Ha accettato di modificarla, di adattarla alle richieste di chi gli si opponeva, mi verrebbe dire di stravolgerla… Per lui era uno strumento dove da una parte portare avanti dei progetti di cooperazione allo sviluppo, e dall’altra offrire a tanti giovani la possibilità di fare delle esperienze che ti cambiano la vita… Aveva ragione lui e per spiegarmelo, a me che invece avrei preferito in alcuni caso il confronto, lo scontro frontale, citava sempre il suo fondatore:

Il cammino delle idee e di una lentezza disperante, massime quando urtano interessi e passioni, ma è continuo quando le idee proposte sono giuste e di vera utilità. Insistiamo dunque, perché ogni lentezza giunge alla meta, a condizione che la stanchezza non vinca chi se ne è fatto banditore“*

La stanchezza non lo ha vinto! Ha ceduto il suo cuore mentre era a seguire i progetti ad Haiti, quando solo pochi giorni prima si dava da fare per l’emergenza nelle filippine con la Comunità di Milano.

Ce ne sarebbero troppe da dire, ma cosa si può dire quando ti muore il padre? Ed era un padre molto, molto prolifico e molti lo piangono. Molti lo riconoscono come padre. Ora aspettiamo che il suo corpo torni da Haiti per celebrare i suoi funerali a Milano, ancora non sappiamo quando. Ma questo funerale dovrà essere una festa di ringraziamento per la sua vita, non il pianto per la sua morte! Io credo che lui vorrebbe così…

Sulla sua cassa, vorrei mettere poche cose: la sua stola perchè era prete davvero, una stecca di MS (diceva che con un acronimo così – Missionari Scalabriniani – non poteva non fumare quelle), un mega album di Tex di cui era un lettore insaziabile, e una bottiglia di buon vino… Magari quel buon vino sudafricano a marchio ASCS venduto per raccogliere fondi… (e mai raccolta fondi fu più gaia e proficua).

Con questi quattro simboli voglio ricordare Ben… chiunque lo abbia conosciuto ne avrà un ricordo intimo e personale non certo meno importante del mio perchè Ben quando parlava con te ti faceva sentire la sua attenzione, la sua vicinanza in modo forte, quasi fisico. E quando era lontano, ti aveva presente, ti chiamava ti scriveva, non ti lasciava alla deriva. Magari ti chiedeva anche un parere su un suo scritto che ti inviava… ed andandolo ad aprire ti trovavi un mattone da 300 pagine. Questo era quel grand’uomo di Padre Beniamino Rossi, che quando parlava di migranti teneva testa anche ad un sottosegretario che lo minacciava di denuncia per quello che diceva ai convegni di Loreto, ma che allo stesso tempo quando vedeva un bambino era capace di commuoversi.

“Ehilà Bepò”… mi chiamava sempre così ed era l’unico al mondo a farlo. Non mi è mai piaciuto come soprannome ma a lui non l’ho mai detto; andava bene così. Il giorno prima che partisse per Haiti ci eravamo dati appuntamento al suo ritorno… Mi mancheranno i suoi abbracci, i suoi incoraggiamenti e anche i suoi cazziatoni; agli amici non faceva mancare nulla.

Mi consola solo la certezza che non è un addio ma un arrivederci!… Magari non troppo presto come avrebbe aggiunto lui certamente.

 

 

*(G.B. Scalabrini – L’Italia all’estero, Torino 1899, p. 12)